SPARA/TROVA IL TESORO/RIPETI

Spara/trova il tesoro/ripeti - Shoot/Get Treasure/Repeat
di Mark Ravenhill | traduzione Pieraldo Girotto, Luca Scarlini | regia Fabrizio Arcuri | con Miriam Abutori, Michele Andrei, Matteo Angius, Livio Beshir, Emiliano Duncan Barbieri, Gabriele Benedetti, Chandra&Francesco&Joshua Costa, Fabrizio Croci, Pieraldo Girotto, Francesca Mazza, Danilo Puzello, Federica Seddaiu, Caterina Silva, Sandra Soncini, Damir Todorovic | assistente alla regia Marta Montevecchi | video Lorenzo Letizia | ambiente luci Diego Labonia | sonorizzazioni Gerardo Greco | scene Andrea Simonetti, Claudio Petrucci | scenotecnica Amoni Vacca | costumi Ginevra Polverelli | grafica Claudio Guerrieri | foto Leonardo Lucarelli | foto di scena Valentina Bianchi | organizzazione Miguel Acebes | amministrazione Alessandra Narcisi
coproduzione accademia degli artefatti09/Teatro Metastasio Stabile della Toscana
in collaborazione con Festival Magna Graecia (Catanzaro), Mercadante Teatro Stabile di Napoli, Le Chant du Jour (Roma), Rialtosantambrogio (Roma), Trend – nuove frontiere della scena britannica, Tuscania d’arte – Officina Culturale Regione Lazio, Festival di drammaturgia contemporanea i Quartieri dell’Arte, ARCI Viterbo, Area06, Teatro in scatola (Roma)

 

Il progetto
Ancora intravediamo il piacere di architettare spazi e corpi – negli anni ’90 la forza della performance, dell’installazione, del teatro come luogo e percorso (L’età oscura, Kindergarten, Dall’inferno); più vicino, ecco la ricca semplicità degli ultimi lavori (i testi di Martin Crimp e Tim Crouch) con i loro tempi dilatati e densi, l’impreziosirsi del tessuto attoriale, il rapporto fragile e fecondo con il pubblico – per un teatro che rifletta sul linguaggio e con il linguaggio.
Dopo un periodo di voci sgranate e appena pronunciate, di spazi appena più che vuoti e di giochi umani prima ancora che attoriali, ecco che sembra il momento di fare più rumore, di occupare più spazio e in modo più dirompente, di giocare con la ridondanza della realtà, ma senza sottrarvisi. Non c’è né desiderio né necessità di salvaguardare un’estetica: si tratta di andare dove si è trascinati, e nelle forme stesse di questo trascinamento, assumendo su di se l’essenza delle strade che si percorrono e dei luoghi che si raggiungono. Ecco allora la Trilogia sul niente – perché niente è quello che abbiamo e solo da qui si può sempre ripartire. Spara/trova il tesoro/ripeti è il secondo lavoro che compone questa nuova avventura produttiva di accademia degli artefatti.

 

Mettere in mostra la Storia contemporanea, che è storia di pacificazione dei conflitti, attraverso il racconto di piccole storie quotidiane, che sono incarnazioni del Conflitto e della sua rimozione: questa è, nelle intenzioni di Mark Ravhenill e nell’evidenza della sua scrittura, l’oggetto di SHOOT/GET TREASURE AND REPEAT. Un ciclo epico in forma di miniature, piccoli contenitori di rimandi drammaturgici e cortocircuiti linguistici. Una forma che ne contiene molte altre. Un contenuto – la guerra, il terrorismo, e le loro ricadute sociali e esistenziali – che ne raccoglie molti altri: la violenza domestica, l’incomunicabilità, l’illusione della comprensione, le paure dei figli e dei padri, il ruolo dell’arte e degli artisti, il senso di libertà e democrazia, le nostalgie e i desideri di chi pensa di stare dalla parte giusta, la sensazione che una parte giusta non esista. Si tratta in fondo della stessa storia declinata in modi diversi: quella dei meccanismi di potere alla base di qualsiasi evento e alla base delle sue stesse rappresentazioni.
Nella messa in scena di Accademia degli artefatti una scatola, che sa essere alternativamente bianca e nera, è il luogo di queste rappresentazioni. La scatola segna un interno e un esterno, da rispettare e da tradire, e così marca una relazione con lo spettatore che è chiamato ad essere un incuriosito voyeur di una vicenda domestica, l’interlocutore di un dialogo pubblico, un vero e proprio spettatore (ma di quale rappresentazione?), o ancora il testimone impotente di un sopruso. E lo spettacolo stesso diventa così il contenitore del conflitto tra realtà e finzione, tra verità e verosimiglianza, tra racconto e spettacolo. L’avvenimento e la sua rappresentazione coincidono, eppure non sono mai stati così distanti.

 

Penso che l'unico tratto realmente distintivo del nostro lavoro sia, da sempre, quello di legarci a dei progetti che ci accompagnano per lunghi periodi e che si trasformano in episodi spettacolari di varia forma e natura. In questo caso sono rimasto davvero colpito dall’incontro-coincidenza con il testo/testi di Mark Ravenhill. Sentivamo, infatti, la necessità di lavorare su un materiale complesso che avesse una dimensione epica e che al contempo presentasse le caratteristiche di un racconto contemporaneo; ovvero che rifiutasse in qualche modo la narrazione di una vicenda e come uno squarcio, una crepa, avesse la forza di infiltrarsi nelle pieghe del nostro quotidiano. Così, in modo repentino, senza poesia, con la stessa incoerenza o nascosta motivazione con cui accadono le cose.
Ecco quindi Shoot/get treasure/repeat - una sorta di epopea classica ironica e tagliente, tragica e comica allo stesso tempo, che trasla incessantemente su sé stessa, trasformando in classici dei piccoli episodi quotidiani, immortalando in exempla folgoranti i rapporti tra persone e cose. L’allegoria ribalta costantemente i piani della visione e della comprensione fino a trasformarsi in una sorta di zapping impazzito che lascia scorrere immagini panoramiche per poi metterne a fuoco dei dettagli. In questa continua, e “veritiera”, rimodulazione, grandi e piccole ferite sembrano assumere la stessa origine grazie ad un sottile ed inesplicabile legame, presente costantemente nei piccoli risvolti e nelle grandi trasformazioni della nostra società.
Questo è quello che stiamo tentando di restituire sulla scena. La condivisione di un percorso, uno spettacolo fatto di schegge costruito insieme allo spettatore che è chiamato ad osservare, testimoniare, e partecipare alla costruzione di un puzzle, al tentativo di organizzare i tasselli di un mosaico antico che avvicinandosi al completamento non restituisce nessuna immagine se non uno specchio deforme, clownesco, in cui riflettersi.
Ogni pezzo è uno spettacolo a se stante ma cambia o sposta il significato se accostato o rintracciato negli altri pezzi. Così anche il ruolo dello spettatore: sempre diverso e spostato, ora è chiamato a vestire i panni di un interlocutore, ora a spiare una vicenda domestica, ora a testimoniare come fosse parte lesa di una causa. I primi pezzi che presentiamo in questa sequenza lasciano intuire la struttura generale e restituiscono in parte la preziosità drammaturgica che si potrà sviscerare solo al completamento del ciclo epico. [Fabrizio Arcuri | direttore artistico Accademia degli Artefatti]

 

Il testo
Nelle diciassette brevi pièces che compongono l’epopea di Mark Ravenhill il riferimento alla guerra neocoloniale intrapresa dall’Occidente in Medio Oriente è preciso e dichiarato. E il titolo è un’allusione fin troppo esplicita all’idea che questa Guerra Moderna ha assunto le sembianze e l’irrealtà di un video game amplificato dalla copertura che i media mondiali hanno garantito all’evento. Ogni pièce è un piccolo e compiuto congegno teatrale che assale lo spettatore con una tensione e una carica emotiva che è la stessa che hanno vissuto i fruitori dei servizi giornalistici e televisivi che negli anni ci hanno informato delle terribili conseguenze della guerra in Iraq –meccanismo televisivo che poi spinge gli spettatori a voler ripetere subito l’esperienza e vederne un altro. Un linguaggio diretto e semplice quello di Ravenhill, che denuncia in modo chiaro e partigiano il suo punto di vista su uno degli eventi planetari più importanti della nostra epoca.Tutto il materiale si struttura attorno ad un’invasione militare e la conseguente occupazione di un territorio. Alcune pièces sono ambientate in un paese che è riconoscibile come l’Iraq. Altre, la maggior parte, in uno stato dell’Occidente – un Occidente scosso, fotografato nell’esplodere delle proprie contraddizioni, quasi deturpato da un rapporto mai risolto e sempre mediato (o negato) con la guerra in Medio Oriente.
 

NASCITA DI UNA NAZIONE – Mark Ravenhill/2007 – D.W.Griffith
Accorrete numerosi! Venite a vedere, venite a sentire! E’ un’occasione unica. Loro vengono da lontano e poi subito ripartiranno per chissà dove. Ma per oggi, almeno per oggi, sono qui per noi, per raccontarci come hanno fatto loro, per dirci come dobbiamo fare noi. Forse abbiamo ancora una via d’uscita, una speranza. Forse c’è la soluzione! Loro l’hanno trovata. Ci diranno come trovarla, a noi che pensavamo di essere spacciati. Ritroviamoci, uniti e coraggiosi, e ce la faremo!

 

DELITTO E CASTIGO – Mark Ravenhill/2007 – Fedor Dostojesvskij/1866
Un soldato e una giovane intellettuale. Un normale interrogatorio.di guerra – per quanto la guerra e gli interrogatori abbiano a che fare con la normalità. Un vetro tra quello che succede e il pubblico, che così può scegliere quanto voler guardare e quanto specchiarsi. Se non fosse tutto così chiaro a un certo punto potrebbe sembrare un normale dialogo tra una donna addolorata che non può e non vuole amare un giovane disperato – per quanto tutto questo sia normale.

 

LA MADRE – Mark Ravenhill/2007 – Maxim Gorkij/1906 – Vsevold Ilarionovic Pudovkin/1926 – Bertold Brecht/1930
Ci sono così tanti film in cui un giovane parte per la guerra e poi non torna che a un certo punto, magari in un momento di sconforto, può sembrare che succeda davvero: che chi si stava aspettando non torni più. Meglio tornare alla tv in cui ci sono così tanti film in cui il soldato poi torna dalla guerra, e magari, in un momento di entusiasmo, può sembrare che succeda davvero.

 

PARADISO PERDUTO – Mark Ravenhill/2007 – John Milton/1667
Di notte, silenzio. Poi urla. E odori. E sguardi dalle finestre. .Di nuovo, poi, silenzio. In un condominio, se si ascolta attentamente, con le orecchie appoggiate alle pareti, si può capire molto dei propri vicini. E pensare di capire molto di molte altre cose. In tempo straordinari e difficili come questi, è un bene potersi fidare dei tuoi vicini. Uno spettacolo che ha i colori e l’atmosfera di Lynch, la lingua dura e inaggirabile di Ravenhill, e il respiro epico e tragico di Milton.

 

LE TROIANE – Mark Ravenhill/2007 – Euripide/415 a.c.
Si apre il sipario. Perché ci bombardate? Perché? Diteci… perché ci bombardate? Guardateci ora. Guardateci. Guardateci bene. Cosa vedete? Di fronte a voi ci sono i buoni. Non capisco… non ci arrivo… perché bombardate i buoni? Siamo i buoni. I bravi. I virtuosi. Il nostro modo di vivere è quello buono, giusto. . L’unico. Libertà, democrazia, verità, storia, e allora? Perché ci bombardate? Per favore perché? Per favore vogliamo capire. Davvero. Perché ci bombardate? Si chiude il sipario. Ma siamo appena all’inizio.

 

GUERRA E PACE – Mark Ravenhill/2007 – Lev Tolstoj 1865
Sogno e realtà. Favole e incubi. Buio e luce. Silenzio e rumore. Guerra e pace. Un bambino lontano dalla guerra. Eppure nel bel mezzo della guerra. Un bambino che ancora non ci pensa neanche a voler capire se c’è la verità, la giustizia, il bene e il male, e dove siano. Semplicemente qualcuno gli vuole raccontare questa favola, quella del bene e del male. Lui intanto dorme, aspettando di sapere se è tutto un sogno o è proprio così che va il mondo.

 

DONNE IN AMORE – Mark Ravenhill/2007 – Ken Russel/1969
Il film di Russel suscitò scandalo per una scena in cui due uomini lottano, nudi, e si dicono: “Noi siamo mentalmente e spiritualmente vicini, perciò dobbiamo esserlo anche fisicamente”. Ravenhill prende due uomini e una donna e li mette in un ospedale, dove la vicinanza di spiriti e di corpi è una necessità e, anche, un’urgenza. Si parla di amore, dolore, soldati lontani. A parlare è l’amore, il dolore, chi spera che i soldati tornino.

 

ODISSEA – Mark Ravenhill/2007 – Omero/750 a.c. circa.
Chi porta la libertà a chi? Chi ha così tanta democrazia da poterne regalare un po’? Chi sa di avere la civiltà dalla propria parte? Per quali valori si va in guerra? Per quali motivi si scappa? Quando si capisce chi sono i vincitori? E come? Chi sa quale è il suo posto? Chi sa che il suo posto non è quello dove sta adesso? Sei soldati con unamissione da compiere. Un’altra appena compiuta. Sei uomini fanno quello che devono. Cosa vogliono? Tornare a casa. O forse no. E’ la solita storia dell’eterno ritorno rimandato. Niente di più.

 

TERRORE E MISERIA - Mark Ravenhill/2007 – B. Brecht/1935
Una casa, una madre, un padre, un bambino. Una famiglia è sempre una famiglia. Anche quando è una famiglia in guerra con se stessa, e con i propri ricordi e con i propri desideri. La guerra quando non ha il rumore delle bombe e il colore del sangue, acquista la consistenza degli incubi, delle frustrazioni, dei fantasmi. Una casa, una madre, un padre, un bambino. E un fantasma. In ogni famiglia che si rispetti ce n’è almeno uno. E il fantasma si porta dietro sempre una domanda fondamentale: cosa è vero?

 

THE MIKADO (OR THE TOWN OF TITIPU) – Mark Ravenhill/2007 – operetta di Arthur Sullivan e W.S. Gilbert/1985
La nostalgia è così: arriva quando meno te l’aspetti. Quando arriva è un’emozione strana, in qualche modo semplicissima e insieme complessa. La nostalgia però ha sempre un che di vero. Se arriva, c’è un motivo. Non si finge con la nostalgia. Al massimo se ne può aver pudore. Due uomini di mezza età che chiacchierano su una panchina in un parco sotto la neve – proprio lì dove sembra non succedere niente, succede tutto. Mikado è un pezzo di teatro. E’ un dialogo. E’ un racconto. E’ una poesia. Mikado è una poesia scritta in forma di dialogo per il teatro. Non si finge con la poesia.


INTOLLERANZA – Mark Ravenhill/2007 – David Wark Griffith/1916
Helen ha dovuto ripensare la sua colazione, perché intollerante alla caffeina. Quindi: succo di mirtilli, lamponi e mele, yogurt probiotico, e pastiglie di vitamine e antistaminici vari. Helen ora è serena e ripercorre la sua storia scandita dal ricordo delle sue allergie e fobie curate grazie a medicinali di varia natura, che come si evince dalla sue stesse parole, hanno “un ruolo nel rendere la mia vita quasi perfetta come ogni vita”. L’intolleranza razziale denunciata dal film di Griffith del 1916 è qui trasfigurata in intolleranza alimentare, allergie e fobie, spesso o del tutto psicosomatiche, che accompagnano il vivere contemporaneo e assurgono, nel breve monologo di Ravenhill, a ruolo di interlocutore, compagno di avventura di Helen, una donna a un passo dalla serenità.


PARADISO RITROVATO – Mark Ravehill/2007 - John Milton/1671
Notte. Fa caldo. Un lussuoso attico. Tom è in visita di Matt. Il dialogo tra i due di snoda attraverso il ricordo del loro passato vissuto insieme, vent’anni prima, quando Tom era ancora vivo; e la vita di Matt oggi, ricco consulente e congressista in ambito di ricostruzioni in periodi postbellici. Il dito è puntato ancora una volta sull’oggi, oggi che la guerra è finita, che i bombardamenti sono finiti e che si festeggia con fuochi d’artificio per esorcizzare le esplosioni di un tempo dimenticato da un’intera generazione. La guerra è finita, i bombardamenti sono finiti, ma il miglioramento è solo apparente: c’è un’altra invasione, il mondo è migliore oggi, ma non perfetto. Lo sta diventando.


Dei 16 pezzi (più un epilogo) che compongono il testo, i primi otto hanno debuttato al Teatro Mercadante, stabile di Napoli nell'aprile del 2009; “Il Mikado” e “Terrore e miseria” hanno debuttato presso il Teatro Fabricone di Prato a gennaio 2010, mentre "Intolleranza" e "Paradiso Ritrovato" al Florian Teatro di Pescara nel marzo 2010.  
 

Estratti rassegna stampa


"Dopo Edimburgo e Londra, Spara/Trova il tesoro/Ripeti di Mark Ravenhill alimenta da noi, con 17 microdrammi "storici", un evento. Otto di questi sono ben realizzati da Fabrizio Arcuri con gli Artefatti. Ravenhill è civile come Pinter, feroce come la Kane".
Rodolfo Di Giammarco, La Repubblica, 27 aprile 2009

"Ad interpretare con grazia assoluta il monologo è Francesca Mazza: usa toni quotidiani, commoventi, lavora sul dubbio, sul fraseggio leggero, appena sussurrato, su domande che chiamano in causa l'ascoltatore senza appello. A far da coro, mimettizate tra le spettatrici scelte, anche Miriam Abutori, Caterina Silva e Sandra Soncini. Nella fluida traduzione firmata da Pieraldo Girotto e Luca Scarlini, Le Troiane è un invito a restare lucidi, a pensare il pensiero dell'Altro. Senza reticenze o indulgenze."
Andrea Porcheddu, delteatro.it, 14 maggio 2009

"I testi funzionano e fanno riflettere finché la loro scrittura resta elusiva, sospesa. [...] La regia di Fabrizio Arcuri cerca un approccio spoglio, essenziale: l'aspetto più interessante è lo stile recitativo minimalista, studiatamente informale".
Renato Palazzi, Il Sole 24 Ore, 22 novembre 2009

"Nella temperie epico-grottesca di Spara/Trova il tesoro/Ripeti, forse non c'è niente di più derisorio e stridente dello spasmo finale su cui si chiude "Nascita di una nazione": sulla scena degli Artefatti, dove tutto si è svolto per lo più in sala e tra il pubblico, e in quella modalità imbonitoria, sospesa tra la comunicazione quotidiana e l'interpretazione, che è ormi il segno del teatro di Fabrizio Arcuri, è il corpo di Miriam Abutori a riconquistare prepotentemente lo spazio del palco".
Attilio Scarpellini, Lettera 22, 20 febbraio 2010

"Gli spettacoli sono anche quello che non si vede. Echi, presentimenti, ciàò che sta dietro la voce. Il buio [...]. Si inizia con quattro viaggiatori che arrivano in una città antica civiltà devastata. In una luce da sala operatoria si rivolgono agli spettatori, in quel modo che la compagnia diretta da Fabrizio Arcuri sta sperimentando ormai da qualche stagione: rallentando il discorso, inserendo pause, sospensioni, gesti esplicativi delle parole, da maneggiare con cura, da smontare, far smottare, per rivelare o scoprire che pure con la pedagogia delle parole si sta costruendo un qualche inganno".
Massimo Marino, Corrieredibologna.it, 25 febbraio 2010

"Con il loro stile minimale, privo di scenografie e improntato a una recitazione sgonfia e antiretorica, elusiva, fatta di ripetizioni, interruzioni e gesticolazioni lessicali (tratto distintivo di un'intera scena emergente, di cui gli Artefatti sono stati preconizzatori), dopo aver affrontato Crimp e Crouch la compagnia romana torna a lavorare attorno alla drammaturgia anglosassone non per raccontare storie, ma per indagare i meccanismi del linguaggio e della comunicazione"
Graziano Graziani, Carta, 27 marzo 2009

"[...] ciclo epico in forma di miniature che l'Accademia degli Artefatti porta in scena da due anni e che gli è valso il Premio per la Critica 2010. [...] Perfetti i tempi, le intenzioni, la direzione di Arcuri."
Bruna Monaco, Aprileonline.info, 7 dicembre 2010

"Spettacolo di terribile lucidità, questo, intitolato "Delitto e castigo", apre la serie dei dodici drammi spot diretti con ritmo matematico e grande invenzione da Fabrizio Arcuri per rappresentare quasi totalmente il geniale ciclo epico dell'inglese Mark Ravenhill".
Claudia Provvedini, Corriere della Sera, 28 dicembre 2010

 

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