ATTEMPTS ON HER LIFE (2005)

ATTEMPTS ON HER LIFE/Attentati alla vita di lei
17 soggetti per il teatro
di Martin Crimp
traduzione Margherita d’Amico
consulenza drammaturgica Luca Scarlini
regia Fabrizio Arcuri
con Miriam Abutori, Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Paola Cannizzaro, Fabrizio Croci, Daria Deflorian, Pieraldo Girotto, Sandro Mabellini, Simona Senzacqua, Antonio Tagliarini, Annapaola Vellaccio
produzione accademia degli artefatti/Enzimi/Nottebianca – Comune di Roma/TSI Florian (Pe)
in collaborazione con rialto santambrogio
 

Martin Crimp e gli Artefatti. Un incontro provvidenziale

’Questo lavoro è destinato a una compagnia di attori formati in modo da rispecchiare la composizione del mondo al di là del teatro. Ogni soggetto in parole – il dialogo – deve distendersi all’interno di un mondo distinto – un disegno – che meglio esprima la sua ironia’.
La forza visiva che scaturisce dai testi di Crimp si nutre del ‘contemporaneo’, e non è un caso che più volte sia stato associato a Damien Hirst, l’artista inglese noto per la dissezione in formaldeide di animali o per le teche dentro cui isola ed esalta dei particolari di vita quotidiana. Il teatro di Crimp è come un’istallazione: i suoi elementi non sono organizzati per imitare una realtà riconoscibile, per raccontare una storia più o meno condivisibile, o per sciogliere o rendere leggibile un intreccio. Il teatro di Crimp offre ed espone oggetti da interpretare. E il testo non è altro che uno di questi oggetti, il diciottesimo oggetto. Proprio questa essenziale assenza di qualunque riferimento, questa frammentarietà, che è la vita, la realtà quella vera, è materiale di indagine per l’attore. Che vuol dire per l’attore sprofondare in questo vuoto? Dove può costruire un percorso credibile all’interno di queste vicende inafferrabili? Ecco, quindi, il primo grado di performance da accettare e restituire da parte dell’attore: parodiare, contraddire, sovvertire e asserire tutto quello che si fa o si dice, in un continuo gioco di entrata e uscita dalla realtà scenica che si sta generando in quel momento, e che è l’unica realtà a cui si può credere.

Nessuna trama, nessun personaggio, nessun luogo. Con queste assenze drammaturgichie l’Accademia degli artefatti lavora già da qualche anno, attraverso l’investigazione dei modi dell’interpretazione attoriale proprio in queste condizioni, e avendone individuato una ricca e preziosa possibilità nella relazione che si stabilisce tra persone e attori e personaggi sulla scena: e questo genere di relazione è ciò su e con cui l’attore lavora, in prova e in spettacolo, senza sedimentare né atteggiamenti né percorsi individuali introspettivi che si sottrarrebbero all’oggettività della relazione e operandone una messa in crisi e una riattualizzazione continua – differenza e ripetizione, così sembra andare il mondo, la lingua, e il teatro. Questo lavoro contempla in sé la possibilità del suo fallimento ed è per questo che la ricerca e l’interpretazione devono rimanere sempre vive, per poter così conquistarsi continuamente una riuscita, un successo, felice ma parziale. E’ un lavoro sempre a rischio quello degli artefatti: l’attore è chiamato a vivere radicalmente il qui e ora della scena, rimanendo sempre a contatto con la sua identità ambigua, e per questo fruttuosa, confusa tra il suo essere persona e personaggio e attore. E poi che personaggio? I testi contemporanei, da Pinter a Sarah Kane, da Heiner Muller a , non regalano nulla alla identità dei personaggi, mettendone anzi in crisi l’idea stessa. E Martin Crimp conduce tale prospettiva alle sue estreme conseguenze: ‘I miei testi non hanno poi nessun tipo d’indicazione per la messa in scena, né ruoli, né personaggi. Ogni battuta è contraddistinta da un trattino e non ha altre didascalie’. Ed ecco allora la provvidenzialità di quest’incontro: Crimp, con lo spettacolo Tre pezzi facili prima e con Attempts poi, diventa per gli artefatti l’opportunità di condurre alle estreme conseguenze il suo di lavoro: verificare le qualità e le potenzialità di una performance attoriale basata sulle relazioni da vivere nell’attualità della scena, con la sua porzione di rischio, di ‘improvvisazione’, di realtà e di verità.


Attentati alla vita di lei. L’inafferabilità del teatro
Diciassette spettacoli che fanno uno spettacolo. Un testo composto e articolato in diciassette testi, in cui si frammenta, si ricostruisce e si disintegra ancora l’identità di Anna (o Anya o Anouska). Un’indagine polifonica alla ricerca di un’identità perduta, impossibile: un intreccio senza mistero, e comunque senza soluzione. Chi è Anna? E’ molte cose insieme e per questo forse nessuna di esse: una terrorista, una rifugiata politica, un’automobile, una pornodiva, una cantante punk, la ragazza della porta accanto, un artista suicida, un attrice di soap… Anna sono dei tentativi di Anna: possibilità qualsiasi di un’esistenza intrappolata in un meccanismo linguistico, che è insieme il mondo e la sua lingua.
Anna è la protagonista di un testo, orfano di personaggi ma pieno di parole. Le battute sono attribuite non a nomi, che segnino una qualità o un’età o un appartenenza sociale, ma a trattini, neutri e tutti uguali: un’indagine, servita a capire chi è a dirle queste parole, è iniziata durante le prove e continua con gli spettacoli, che ne sono solo risultati parziali. Durante le prove abbiamo verificato il testo in ogni sua direzione e possibilità, ascoltando le sue necessità e le sue verità: ed ecco allora una scenografia insieme minima e d’impatto; ed ecco scene il cui tempo e il cui andamento è tanto sorprendente e eccezionale, quanto aderente alla vita del testo; ed ecco uno spettacolo sostenuto a volte da due attori, poi tre, dieci, poi nessuno, assecondando quello che il testo ha sembrato chiedere; oltre ai 17 pezzi ci sono poi due momenti presi da un concerto rock, corpi estranei pienamente integrati. Durante lo spettacolo, gli attori e il pubblico proseguono insieme l’indagine per rincorrere una soluzione, che viene continuamene colta e smarrita. In palio c’è lo scioglimento del testo, la sua definizione attuale, sempre congruente ma mai definitiva. La ricerca non finisce mai e questo permette al lavoro di restare sempre aperto e vivo. Abbiamo trattato ogni porzione di testo come uno spettacolo a se stante, ma il gioco di rimandi e la deflagrazione drammaturgica possono essere colti solo dal pubblico, che vive il lavoro nella sua completezza: la scena diventa il luogo dove gli attori, i personaggi, gli uomini e le donne si inseguono e si incontrano, realizzando una fitta trama di fraintendimenti linguistici e di artifici retorici – un testo che mette in crisi la ‘forma testo’ e uno spettacolo che mette in questione la ‘forma teatro’.
 

Estratti rassegna stampa


"Delle tre ore e mezza di spettacolo che il regista Fabrizio Arcuri e la sua compagnia Accademia degli Artefatti ricavano da Attempts on her life di Martin Crimp del 1997 neanche un minuto risulta superfluo o poco interessante. [...] La formula, un'installazione con verve finissima, si presta perfettamente al teatro-oggetto da sempre elaborato con dissezioni e traumi da Arcuri e dagli Artefatti".
Rodolfo Di Giammarco, La Repubblica, 19 settembre 2005

"L'effetto è ammaliante: si ride, confusi e divertiti; ci si perde e ci si ritrova; si inseguono tracce e indizi per costruire un quadro completo, salvo poi smontarlo all'indizio successivo... Insomma, Attentati alla vita di lei, di Martin Crimp, che il regista Fabrizio Arcuri ha allestito [...] è un lavoro sorprendentemente «destrutturato», aperto, capace di superare - sin dalla struttura drammaturgica - le forme del «teatro che abbiamo in mente», per portare lo spettatore, grazie alla vivace complicità di attori assolutamente all'altezza del difficile compito, in territori tutti da inventare." 
Andrea Pocheddu, 13 settembre 2005, delteatro.it

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